Spiegare il lutto ai bambini

Tutte le fasi della vita presuppongono chiarezza ...


 

Il bambino, durante la malattia dei genitori, spesso, viene lasciato all’oscuro di tutto. 
Sono momenti difficili per una famiglia e per tutti i suoi componenti. 
Ma è corretto che i bambini non vengano coinvolti in queste difficili fasi? 
In generale, quando un adulto è chiamato a subire un cambiamento, vuole essere informato su ciò che sta accadendo e, soprattutto, pretende di sapere anche in previsione del cambiamento che un lutto inevitabilmente prevede. In sintesi, l’adulto si prepara e cerca di essere, il più possibile, pronto per un evento che, con molta probabilità, gli cambierà la vita. 
E perché un bambino non dovrebbe essere messo nella stessa condizione? 
Ma quali sono le modalità migliori per spiegare un lutto ai bambini? 
Intanto iniziamo con il dire che tutti i bambini hanno il diritto di sapere. Porsi in modo autentico è, pertanto, fondamentale. 
Non dimentichiamo che, spesso, i bambini riescono a percepire, sentire e capire ancor prima degli altri.
Il clima di dolore, lo sappiamo, è facilmente “respirabile", ed ognuno attiva delle risorse interiori per affrontarlo. 
L’adulto, in questo senso, è capace di elaborare la sua condizione emotiva mentre i più piccoli potrebbero mettere in atto una elaborazione alterata della realtà, ad esempio potrebbero darsi delle risposte da soli, il più delle volte sbagliate e molto spesso autocentrate, tanto da arrivare ad attribuirsi la colpa della morte del nonno o del genitore. 
Allora è bene spiegare cosa sta accadendo modulando il linguaggio a seconda dell’età.
Riprendiamo qui una parte di un articolo a nostro avviso interessante uscito sul sito di “VIDAS” 
“Fino ai 3 anni i bambini non comprendono il concetto di morte, ma vivono comunque uno stato di confusione dettato dall’agitazione e dalla tristezza che percepiscono attorno a loro. In questi casi l’unica cosa da fare è dimostrare maggiore affetto con coccole, abbracci e continue rassicurazioni
Dai 3 ai 6 anni i bambini vivono la morte come evento temporaneo e pensano che la persona morta prima o poi tornerà. In questa fase però sono in grado di provare dolore e sofferenza per la perdita e, soprattutto intorno ai 5/6 anni, rivolgono molte domande sul tema della morte, a cui è opportuno dare sempre risposte coerenti e realistiche.
Da 6 a 8 anni la morte diventa un’esperienza più reale e definitiva, i bambini dimostrano interesse verso i rituali come il funerale e la sepoltura, ma non sono in grado di incanalare correttamente le loro emozioni, che possono sfociare in comportamenti aggressivi, frustrazione e rabbia.
Da 8 a 11 anni la morte è interpretata come interruzione delle funzioni vitali, ma ancora i bambini non sanno interpretare ciò che sentono e lo manifestano attraverso atteggiamenti regressivi e aggressivi verso amici e familiari.
Dopo gli 11 anni, l’elaborazione del lutto è più matura e consapevole, restano tuttavia i problemi legati alla gestione delle emozioni, che d’altronde riguardano anche le persone adulte, e la difficoltà di comunicare i propri stato d’animo in maniera serena e partecipativa”.
Parlare di morte ai bambini, pertanto, fermo restando che sia necessario, deve tener conto di molte variabili che si riferiscono alle diverse fasi dello sviluppo. Quando l’adulto ha consapevolezza di non possedere gli strumenti adatti, allora può rivolgersi a degli esperti dell’area psicopedagogica che, non solo possono, direttamente, affrontare il problema con il bambino ma possono anche indirizzare la famiglia a seguire il percorso più idoneo.